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Santi del 6 Marzo

Il mio Santo > I Santi di Marzo

*Santa Coletta (o Colette) di Corbie  (6 marzo)

Corbie, presso Amiens (Francia), 13 gennaio 1381 - Gand, Fiandra (attuale Belgio), 6 marzo 1447
È nata quando ormai i genitori – il carpentiere Roberto Boylet e sua moglie Caterina – non speravano più di avere figli. L’hanno chiamata Nicoletta (familiarmente Colette) in onore di Nicola di Bari, alla cui intercessione si attribuiva la sua nascita.
Colette intraprende la sua complicata esperienza religiosa a 18 anni, dopo la morte dei genitori.
E la conclude a 25 su consiglio del francescano Enrico di Baume, tornando fra le Clarisse, perché si sente chiamata alla riforma degli Ordini istituiti da san Francesco.
Nel 1406, a Nizza, riceve il velo da Benedetto XIII, che l’autorizza a riformare i monasteri dell’Ordine e a fondarne di nuovi.
Per alcuni anni, lei vede fallire gli sforzi di riforma, e solo nel 1410 ha il suo primo monastero rinnovato a Besançon, seguìto poi da altri 16. Colette  muore a Gand nel 1447. (Avvenire)
Etimologia: Coletta (accorc. di Nicoletta) come Nicola = vincidore del popolo, dal greco
Martirologio Romano: A Gand nelle Fiandre, nell’odierno Belgio, santa Coletta Boylet, vergine, che, dopo tre anni di vita molto austera rinchiusa in una piccola casa posta accanto alla chiesa, divenuta professa sotto la regola di san Francesco, ricondusse molti monasteri di Clarisse al primitivo modello di vita, ristabilendovi in special modo lo spirito di povertà e di penitenza.
Pare che   non le vada bene nulla.
Cambia di continuo monastero e Ordine: dalle Beghine e poi dalle Benedettine della nativa Corbie alle Clarisse, e da queste alle Terziarie francescane; poi si isola come “reclusa” in una cella, ancora a Corbie. E’ nata quando ormai i genitori – il carpentiere Roberto Boylet e sua moglie Caterina – non speravano più di avere figli.
L’hanno chiamata Nicoletta (familiarmente Colette) in onore di Nicola di Bari, alla cui intercessione si attribuiva la sua nascita.
Colette intraprende la sua complicata esperienza religiosa a 18 anni, dopo la morte dei genitori.
E la conclude a 25 su consiglio del francescano Enrico di Baume, tornando fra le Clarisse, perché si sente chiamata alla riforma degli Ordini istituiti da san Francesco.   
Nel 1406, a Nizza, riceve il velo da Benedetto XIII, che l’autorizza a riformare i monasteri dell’Ordine e a fondarne di nuovi.
Siamo ai tempi dello scisma d’Occidente, con papi e antipapi eletti da gruppi diversi di cardinali e ciascuno riconosciuto da una parte degli Stati europei. Dopo la morte di Gregorio XI (1378), a Roma si sono succeduti Urbano VI (Bartolomeo Prignano), Bonifacio IX (Pietro Tomacelli),
Innocenzo VII (Cosimo Migliorati) e infine Gregorio XII (Angelo Correr). E a lui si oppone da Avignone lo spagnolo Pedro de Luna (Benedetto XIII), successore dell’altro antipapa avignonese, Roberto di Ginevra, chiamato Clemente VI.  
(In qualche momento saranno addirittura in tre a chiamarsi papa, finché al Concilio di Costanza, grazie alla rinuncia di Gregorio XII, verrà eletto unico pontefice Martino V,  Oddone Colonna).
E ci sono futuri santi da una parte e dall’altra: Caterina da Siena e Caterina di Svezia stanno col papa di Roma, mentre ai due avignonesi aderiscono Vincenzo Ferreri e appunto Colette.
Per alcuni anni, lei vede fallire gli sforzi di riforma,  e  solo nel 1410 ha il suo primo monastero rinnovato a Besançon, seguìto poi da altri 16. Accolgono la  sua riforma anche alcuni conventi maschili, sempre sotto i loro superiori. Povertà senza attenuazioni, tenore di vita restituito all’originaria austerità, vita di preghiera personale e comunitaria, molta penitenza per l’unità della Chiesa.
La riforma è tutta qui, animata però dal suo esempio, che entusiasma nei monasteri e fuori.  
Acquista fama di scrutatrice delle coscienze, capace di profezie e di clamorosi miracoli: addirittura risurrezioni, si afferma. La validità di questa riforma (approvata nel 1434 dal Ministro generale francescano e nel 1458 da Pio II) è testimoniata dalla sua tenuta nel  tempo.
Colette muore a Gand nel 1447 e sarà canonizzata nel 1807 da Pio VII. Ma i monasteri “collettini” continueranno a vivere sulla linea tracciata da lei.
Il XX secolo ne vedrà sempre attivi circa 140, per la maggior parte in Europa, ma anche in America, in Asia e in Africa.  
(Autore: Domenico Agasso - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*San Crodegando di Metz - Vescovo (6 marzo)

Hesbaye, Belgio, 712 – 6 marzo 766
Nacque nel 712 a Hesbaye (Brabante) da Sigrammo e Landrada, ambedue nobili. Ricevuta una solida formazione benedettina a venticinque anni nel 737 ,venne nominato cancelliere del regno d’Austrasia.
Il 30 settembre 742 venne consacrato vescovo di Mets. Promosse la diffusione del monachesimo benedettino, fondando diverse abbazie a Gorze nel 748, Gengenbach 741 e altre.
Si preoccupò molto del clero secolare e promulgò il “ parvum decretulum n piccolo codice con il quale tentò di riportare il clero alla retta via. Si recò a Roma nel 753 dove ricevette il pallio.
Presiedette a numerosi concili provinciali di Vernuel nel 755, Compiègne nel 757 e Attigny. Morì il 6 marzo 766.
Le sue reliquie si conservano nel monastero di San Sinforiano a Metz.
Martirologio Romano: A Metz in Austrasia, nell’odierna Francia, San Crodegango, Vescovo, il quale dispose che il clero vivesse come tra le mura di un chiostro sotto una esemplare regola di vita e promosse notevolmente il canto liturgico.
Codregando nacque nel 712 ad Hesbaye, nei pressi di Liegi in Belgio, da una nobile famiglia. I suoi genitori, di origine franca, lo fecero studiare presso l’abbazia di Saint-Trond. Giovane di bell’aspetto, molto educato ed ottimo linguista, Carlo Martello notò le sue grandi abilità e lo nominò capo del corpo diplomatico e giuridico al suo servizio.
Morto Carlo Martello, il suo successore Carlo Magno nel 742 lo nominò anche vescovo di Metz. Codregando era però ancora laico e dovette dunque ricevere le ordinazioni diaconale, presbiterale e la consacrazione episcopale.
Egli conservò inoltre la carica politica e sfruttò il prestigio conseguito dall’esercizio dei due incarichi sfruttò a fin di bene tutta la sua influenza. Quale ambasciatore di Pipino presso il pontefice Stefano II, Codregando si ritrovò direttamente coinvolto con la sconfitta dei longobardi in Italia, il passaggio alla Chiesa dell’esarcato di Ravenna e di altri territori e la stessa incoronazione di Pipino, avvenuta nel 754.
Codregando operò una profonda riforma del clero, che versava in quel periodo in una profonda crisi morale. Deciso ad ntervenire nella difficile situazione, iniziò proprio dai preti della sua città: riunì dunque in alcune case tutti gli ecclesiastici e fissò per loro una regola di vita ispirata a quella di San Benedetto.
Il codice che applicò a Metz si componeva di trentaquattro capitoli ed ogni giorno, alla presenza di tutta la comunità, se ne leggeva uno: da ciò tali incontri presero il nome di “capitolo”. Ben presto tale nome venne esteso alle persone che presenziavano alle letture, mentre
tutti coloro che erano legati ai canoni vennero chiamati “canonici” e coloro i quali seguivano una regola presero a definirsi “regolari”.
Altre norme di vita comunitaria vennero inserite in seguito, riguardanti clausura, domicilio, studio, liturgia, abito e pasti, ed erano volte a fornire agli ecclesiastici un sostegno reciproco nel rimanere fedeli al voto di castità ed agli altri impegni propri del clero.
La principale differenza dai frati stava nella possibilità di avere beni i loro proprietà, abitudine che comunque successivamente fu messa in discussione.
La regola di Codregando fu poi adottata da altre diocesi ed infine estesa da Carlo Magno a tutti i sacerdoti, che furono così tenuti ad essere o monaci o canonici. Questa regola riscontrò successo anche all’estero e nel corso dei secoli tornò ripetutamente in auge, seppur non nella forma originaria.
Su iniziativa di Codregando a Metz si introdussero anche il rito ed il canto romano, il cui repertorio tornò a Roma arricchito dalle composizioni galllicane e da lì si diffuse in tutta Europa. Fu rinnovata la “schola cantorum” di Metz e la sua fama durò per secoli. Nell’805 Carlo Magno addirittura ordinò che tutti i maestri di canto dovessero formarsi a Metz.
Il Santo vescovo si distinse anche nella costruzione e nel restauro di chiese, monasteri ed istituti di carità. Alla sua morte, il 6 marzo 766, ricevette sepoltura presso l’abbazia di Gorze, che egli stesso aveva fondata ed amata più di ogni altra. La tradizione vuole che alcune sue reliquie siano conservate anche presso la chiesa di Saint-Symphorien di Metz.
(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Crodegando di Metz, pregate per noi.

*Sant'Evagrio di Costantinopoli - Vescovo (6 marzo)
IV sec.

Martirologio Romano: Commemorazione di Sant’Evagrio, vescovo di Costantinopoli, che, mandato in esilio dall’imperatore Valente, tornò al Signore come insigne testimone della fede.
All'inizio del 370 morì Eudossio, vescovo ariano della capitale, e gli ariani si proposero di dargli come successore Demofilo, vescovo di Berea in Tracia.
I cattolici, duramente perseguitati, si accordarono intanto per eleggere Evagrio e questi fu consacrato da Eustazio di Antiochia, che viveva allora nascosto a Costantinopoli.
In questa città gli ariani manifestarono una così viva opposizione che l'imperatore Valente, allora residente a Nicomedia, inviò delle truppe per evitare tumulti ed esiliò Eustazio ed Evagrio.
Il primo fu inviato a Bizya, in Tracia, il secondo in una località sconosciuta e non si seppe più nulla di lui.
Il Baronio ne ha introdotto la festa nel Martirologio Romano al 6 marzo, con l'appellativo improprio di martire.

(Autore: Raymond Janin – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*San Fridolino - Abate di Saeckingen (6 marzo)

VIII sec.

Martirologio Romano: A Säckingen nel territorio dell’odierna Svizzera, san Fridolino, abate, che, originario dell’Irlanda, vagò pellegrino per la Francia, finché fondò a Säckingen due monasteri in onore di sant’Ilario.
Gli storici non sono affatto d'accordo sulla identità del Santo. Mentre Meyer von Knonau contesta anche la sua esistenza, e ciò è eccessivo, la maggior parte degli studiosi ammette che non è contemporaneo di Clodoveo, come pretendono le Vitae del Medioevo. Per alcuni, Fridolino sarebbe un missionario franco-irlandese, monaco di Luxeuil o di Grandvai, che, nella metà del secolo VII, fondò il monastero di Sackingen: il che corrisponde all'antica tradizione di San
Gallo, dove, nelle liste liturgiche, dopo il secolo X, detto abate e confessore, o monaco, è in connessione con altri missionari franco-irlandesi.
A. Malnory pensa che Fridolino deve identificarsi con Fridoaldo, monaco colombaniano e prete, di cui parla la Vita San Germani Grandival. A favore dell'opinione che Sackingen sia stato fondato da un monaco di Luxeuil, si ricorda che i patroni antichi del monastero erano San Pietro e Nostra Signora, di cui è ancora fatta menzione nel Medioevo.
(In seguito il monastero fu stabilito sotto il patronato della Croce e di Sant'Andrea, come attesta una carta dell'878, dopo la traslazione di una reliquia della Croce, che si fece all’epoca carolingica.
Più tardi ancora, nei secoli XII-XIII, questo patronato fu sostituito da quello dei Santi Ilario e Fridolino). Lanigan e altri vedono in Fridolino un anglosassone (Frithelm, Fritold), che avrebbe fondato Saeckingen all’inizio del secolo VIII. È necessario rigettare invece nettamente l’opinione di Schulte, secondo la quale Fridolino visse la sua vita monastica a Poitiers e solo le sue reliquie pervennero fino a Saeckingen.
Tuttavia è possibile che Fridolino sia originario di Poitiers o dei dintorni, e che reliquie di sant'Ilario siano state da lui trasferite a Saeckingen. I dettagli concernenti l’attività del santo provengono tutti dalla Vita posteriore.
Il nome di Fridolino è citato in una litania del secolo IX. Il suo culto si sparse nel sud del Baden, nei cantoni svizzeri del Reno e nel cantone Glarus che dai secoli XII-XIII lo venera come il suo apostolo e patrono e dove, dall’epoca carolingica, Saeckingen aveva numerose proprietà.
Il nome del santo si trova nel Martirologio germanico e, dal secolo XVII, nel Martirologio irlandese. Attualmente la sua festa è nel Proprio delle diocesi di Basilea, Coira, Friburgo, San Gallo, Vienna. In Francia, la leggenda del santo non si trova in alcun mss. della Biblioteca Nazionale di Parigi, e la sua festa è stata introdotta a Poitiers come a Lugon (il 2 marzo) solo nel secolo XV.
La tomba fu aperta il 14 dicembre 1357 (invenzione).
Il corpo si trova attualmente nella chiesa abbaziale, divenuta parrocchia, in una cassa del 1764. Si conservano reliquie anche a St-Blasien e Holderbanck (cantone Solothurn); quelle di Glarus furono distrutte in un incendio della chiesa nel 1861. Vi sono anche altri ricordi del santo, ma la loro autenticità è dubbia. In Alsazia Fridolino è il patrono dei contadini ed è invocato specialmente per la protezione del bestiame.
Fridolino è talvolta rappresentato in costume di pellegrino, ma più spesso, in atto di tenere in una mano la croce abbaziale e nell’altra uno scheletro, al quale egli ha reso la vita (Fridolino avrebbe risuscitato un testimonio per provare l’autenticità di una donazione). La Vita fu scritta dal monaco Balther verso l’anno 1000. Malgrado l’affermazione del suo autore, egli non attinse da fonti antiche (in particolare a Poitiers) e pertanto essa non ha alcun valore storico.

(Autore: Rombaut Van Doren – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Iconografia

Il culto di Fridolino, e, di conseguenza la sua più ricca iconografia, hanno il loro centro nei cantoni tedeschi della Svizzera, lungo il corso del Reno e più particolarmente a Saeckingen e a Glarus, città che ha posto l’immagine stessa del santo sul suo stemma.
Fridolino è rappresentato in veste di monaco benedettino ed è quasi sempre accompagnato da uno scheletro, quello di un tale Ursus di Glarus che, secondo la leggenda, sorse dalla tomba per testimoniare il buon diritto di una donazione fatta al convento di Fridolino.
Si deve notare che l’iconografia di Fridolino è piuttosto tarda rispetto all’epoca della sua canonizzazione e si ritiene sia stata tutta ispirata da una serie di incisioni in legno, opera dei monaci di san Gallo, che illustra la Vita Fridolini del 1480.
L’immagine di Fridolino, comune scheletro accompagnatore, è assai comune nelle suddette regioni ed è difficile elencare tutti i dipinti e le sculture, in legno o in pietra, che lo ricordano in una infinità di chiese. Fra le principali e più note immagini ricorderemo, innanzitutto, quelle che si trovano nelle chiese di Saeckingen, tra Basilea e Costanza, dove Fridolino avrebbe fondato il primo monastero, ipotesi peraltro molto contrastata.
Nella collegiata di Saeckingen ritroviamo, in sei bassorilievi in legno di scuola sveva del XI secolo, alcuni episodi della vita del Santo: la sua partenza dall’Irlanda, la sua visita a Clodoveo in compagnia del vescovo di Poitiers e il miracolo della ricomposizione del vaso di cristallo infranto, il sonno di Fridolino sul luogo dove sorgerà il monastero, la resurrezione di Ursus.
Nella stessa collegiata è custodito un reliquiario d’argento del XVIII secolo su cui si vede l’immagine di Fridolino che trae per la mano scheletro di Ursus, il quale mostra il documento della donazione. Ancora a Saeckingen si trova una scultura in legno del XVII secolo, rappresentante il santo sempre accompagnato dallo scheletro di Ursus. In un Messale custodito in detta chiesa la stessa scena è proposta in una miniatura del XVI secolo.
Ancora rappresentazioni popolari di Fridolino con Ursus si ritrovano a Glarus, dove sarebbe avvenuto il miracolo e, passando in rassegna le altre località della zona, dove fu più diffuso il culto, possiamo ricordare una statuetta del 1490 negli stalli della cattedrale di Brisach, il gruppo ligneo del Museo storico di Basilea, proveniente da una chiesa dell'Argovia (che rappresenta Fridolino con Ursus che gli pone un braccio sulla spalla), una statua pure in legno, del XVI secolo, nella cappella di San Fridolino a Ambringen in Brisgovia, una simile scultura del 1520 a Kaysersberg in Alsazia, un dipinto del secolo XV nella collezione Reber di Losanna, che rappresenta Fridolino in atto di resuscitare un morto, ancora un dipinto di primitivo svizzero custodito nel Museo di Digione e infine una statua nel Museo di Stoccarda.

(Autore: Maria Chiara Celletti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Fridolino, pregate per noi.

*San Giuliano di Toledo - Vescovo (6 marzo)

m. 690  
Martirologio Romano:
A Toledo in Spagna, San Giuliano, Vescovo, che indisse tre concili in questa città, espose nei suoi scritti la retta dottrina e fu diligente modello di giustizia, carità e impegno per le anime.
Un grande vescovo del VII secolo, le notizie sulla sua vita ci provengono da Felice, suo successore nella sede arcivescovile di Toledo.  
Giuliano nacque in un anno imprecisato, intorno al 620, nella stessa città di Toledo in Spagna, ricevendo il battesimo nella cattedrale di Santa Maria; i suoi genitori erano cristiani ma di origine ebraica, da bambino fu affidato dai genitori come oblato, nella stessa cattedrale, dove ebbe come maestro il più grande poeta dell’epoca Eugenio, che diverrà Arcivescovo di Toledo e veneratissimo Santo.
In un primo momento pensò di farsi monaco, ma poi proseguì gli studi e divenne sacerdote del clero diocesano, salendo poi man mano nei gradi della gerarchia, mettendo in luce la su grande personalità, le doti naturali e la enorme prudenza nel disbrigo dei compiti a lui affidati.
Il 16 gennaio 680, essendo defunto il metropolita Quirico, Giuliano venne eletto arcivescovo di Toledo, si pensa che avesse sessanta anni; con la carica assunse anche quella di vescovo della corte e metropolita della Provincia ecclesiastica di Cartagena, composta da una ventina di Diocesi.
Durante il suo episcopato Giuliano fu protagonista di uno spiacevole episodio, di tipo politico-religioso; un certo impostore Ervigio, dopo aver narcotizzato il re Wamba, fece sapere a
Giuliano che il re voleva abdicare al trono e ricevere la tonsura penitenziale; ignaro, il vescovo si affrettò ad adempiere al presunto desiderio del re, ma secondo il diritto germanico, il suo atto era vincolante e quindi Wamba dovette lasciare il trono.
Giuliano cercò di riparare al suo involontario errore rilasciando la migliore apologia di Wamba e del suo governo.
Sotto il suo ministero la sede metropolitana di Toledo, acquistò un’importanza indiscutibile, su tutto l’episcopato della Penisola Iberica, sancita nel Concilio XII di Toledo; durante il suo episcopato vennero celebrati altri tre Concili: XIII - XIV e XV di Toledo.
Fu autore di una importante produzione letteraria, che ci è tutta pervenuta, apologia, lettere, composizioni poetiche, produzione e revisione liturgica.
Discreto e coraggioso nella risoluzione degli affari difficili; giusto nei litigi, sempre disponibile alla diminuzione della pena e al perdono, pronto e sollecito a difendere i diritti della giustizia.
Non sopportava, specie nei periodi di carestia, che qualcuno fosse in restrizione bisognosa, senza che gli venisse dato soccorso; non rifiutò mai qualche cosa a chi gli chiedeva un aiuto.
Se nell’esercizio delle sue funzioni, volle essere circondato dalla magnificenza della carica, in privato si distingueva per l’umiltà e l’integrità dei suoi costumi.  
Morì pieno di meriti il 6 marzo 690 e sepolto nella chiesa di San Leocadia a Toledo; verso la metà del secolo VIII, le sue reliquie comprese quelle della Santa titolare e dei suoi predecessori, furono traslate altrove, non si conosce il posto, qualcuno dice ad Oviedo.
La sua festa nei vari calendari spagnoli, già dal 1500, fu fissata all’8 aprile. Nel “Martirologio Romano” è ricordato il 6 marzo.  
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Giuliano di Toledo, pregate per noi.

*Beato Guglielmo Giraldi - Mercedario (6 marzo)
Ottavo priore del convento di Barcellona, il Beato Guglielmo Giraldi, fu un Religioso Mercedario santissimo e zelantissimo.
Due volte andò in terra d’africa per redenzioni, una in Algeria l’altra in Marocco e liberò dalle catene dei mussulmani 453 schiavi.
Morì santamente a Barcellona.
L’Ordine lo festeggia il 6 marzo.  
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Guglielmo Giraldi, pregate per noi.

*San Marciano (Marziano) di Tortona - Vescovo e Martire (6 marzo)

II secolo
Marciano (o Marziano) è indicato dalla tradizione come protovescovo di Tortona (Alessandria), diocesi di cui è patrono. Di famiglia pagana, sarebbe stato convertito da san Barnaba, compagno di san Paolo e confermato poi nella fede da San Siro, vescovo di Pavia. Per 45 anni pastore di Tortona, sarebbe morto martire sotto l'imperatore Adriano tra il 117 e il 138.
Da alcuni documenti del secolo VIII che ne parlano, non risulta vescovo. É Valafrido Strabone che, in occasione della costruzione di una chiesa in onore del santo, lo indica come primo vescovo della comunità derthonese e Martire.
Le reliquie, ritrovate sulla riva sinistra della Scrivia dal vescovo sant'Innocenzo (suo successore del IV secolo), sono nella cattedrale di Tortona. L'osso di un indice è conservato dalla fine del XVII secolo a Genola (Cuneo), di cui è anche patrono. (Avvenire)
Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Tortona in Piemonte, San Marciano, venerato come Vescovo e Martire.
Marciano detto anche Marziano, venerato come Santo sin dall’antichità a Tortona (Alessandria), fu inserito nella lista dei vescovi della città, sia dagli studiosi, sia dalla devozione popolare, come protovescovo di Tortona, indicando che il suo martirio, sarebbe avvenuto ai tempi dell’imperatore romano Adriano (117-138).   
Documenti del secolo VIII, come gli "Atti" abbastanza favolosi dei Santi Faustino e Giovita, non lo presentano ancora come vescovo, fu solo verso l’840 che Valafrido Strabone, nell’occasione della costruzione di una chiesa in suo onore, fatta erigere dal conte Alpgero, lo presenta come protovescovo di Tortona e Martire.  
Un altro documento del secolo X lo indica invece come Vescovo di Ravenna, Martire e sepolto a Tortona.
La sua ricorrenza è al 6 marzo.  
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Marciano di Tortona, pregate per noi.

*Sant'Ollegario di Tarragona - Vescovo (6 marzo)
Barcellona, 1059/61 - 1137

Martirologio Romano: A Barcellona nella Catalogna in Spagna, Sant’Olegario, vescovo, che tenne anche la cattedra di Tarragona, quando questa antichissima sede fu liberata dalla dominazione dei Mori.
Nacque a Barcellona da Ollegario, segretario del conte Raimondo Bereguer I, e da Giulia, tra il 1059 e il 1061, e fu educato fin da bambino nella canonica della cattedrale della sua città, di cui divenne praepositus nel 1094, dopo essere stato ordinato sacerdote. Passò quindi al monastero agostiniano di S. Adriin de Besós, e verso il 1110 entrò in quello di San Ruffo in Provenza, di cui divenne abate.
Eletto vescovo di Barcellona, si rifiutò di accettare finché nel mese di maggio del 1116 gli fu imposto da Papa Pasquale IT; ricevette la consacrazione nella cattedrale di Magalone.
Mentre si trovava a Gaeta insieme al Papa Gelasio II, il 21 marzo 1118, venne trasferito, su proposta del conte Raimondo Berenguer III di Barcellona, all'arcidiocesi di Tarragona, riconquistata poco prima ai musulmani.
Prese parte al concilio di Tolosa, presieduto da Callisto II (giugno 1119), e poi a quelli di Reims (ottobre 1119), Lateranense I (marzo 1123), e di Clermont (1130), presieduto da Innocenzo II. Nel 1123 fu nominato da Callisto II legato a latere per la Spagna.
Assistette il conte di Barcellona, Raimondo Berenguer III, nella morte, avvenuta nel 1131. Eccelse nell'attività pastorale per la restaurazione della provincia ecclesiastica di Tarragona e della disciplina canonica.
Morì il 6 marzo 1137; le spoglie, incorrotte, sono venerate in un altare della cattedrale di Barcellona. Il culto ab immemorabili fu approvato a Roma il 18 maggio 1675, e quindi se ne introdusse la memoria nel Martirologio Romano.
La festa si celebra il 6 marzo.

(Autore: Manuel Rodés – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Ollegario di Tarragona, pregate per noi.

*Beato Ponzio di Polignac - Vescovo di Clermont (6 marzo)

m. 1187/9
Nato da un'illustre famiglia feudale dell'Alvernia e divenuto religioso cistercense a Grandselve nella diocesi di Tolosa, Ponzio ne fu eletto abate nel 1158 ed il suo nome compare con frequenza nel Cartulario di quella abbazia.
Quando Alessandro III, fuggito dall'Italia durante la lotta con Federico Barbarossa, giunse in Francia alla fine dell'inverno 1162, e tenne ben presto il concilio di Montpellier, Ponzio si recò presso il papa che lo mandò in missione dal re di Francia Luigi VII.
Iniziava cosI una carriera diplomatica che sarebbe durata, non senza intervalli, per una quindicina d'anni.
Divenuto nel 1165 abate di Clairvaux, carica che doveva occupare per cinque anni, partecipò nel 1169 con  Alessandro di Colonia, abate di Citeaux, a un tentativo di conciliazione tra il Papa e l'imperatore. Invitati dal Barbarossa, essi si recarono presso di lui, che probabilmente li incaricò di trasmettere al papa proposte ufficiose, e, in ogni caso, di sondare le eventuali disposizioni di Alessandro III. L'impresa non ebbe esito felice, come si sa, malgrado l'intervento di Eberardo, vescovo di Bamberga, che si era unito ad essi.
Divenuto vescovo di Clermont nel 1170, Ponzio dovette ancora una volta fare da mediatore nella riconciliazione tra il papato e l'impero, unitamente a Ugo, abate di Bonnevaux, altro cistercense. Questa volta ancora egli ebbe ruolo di ambasciatore dell'imperatore, contribuendo all'avvento della pace, che fu conclusa a Venezia nel 1177.
Possediamo sul suo episcopato un certo numero di interessanti testimonianze sulle chiese e i monasteri della sua diocesi, oltre che su alcuni dettagli della sua vita: fondò in particolare, nel 1182, la collegiata di Cournon.
Era legato da amicizia con Maurizio di Sully, vescovo di Parigi e con l'abate di S. Genoveffa, Stefano di Tournay; il monaco cistercense Tommaso gli dedicò la sua Expositio in Cantica Salomonis e Alano de l'Arriyour, vescovo di Auxerre, la Vita di San Bernardo che stava scrivendo.
Il Grande Esordio di Citeaux (dist. II, cap. 25) traccia di lui, come al solito, un ritratto magniloquente, il che prova, per lo meno, che la memoria di Ponzio era venerata a Clairvaux quando vi risiedeva Corrado d'Heisterbach, autore dell'opera.
Ponzio morì il 3 maggio 1187, secondo altri il 2 aprile 1189. Il suo epitafio è stato ritrovato nella chiesa di Chamalières, prossima a Clermont, dove probabilmente fu inumato: non abbiamo tuttavia la possibilità di verificarlo.
Il suo nome è iscritto nel Menologio cistercense al 6 marzo, data conservata dal du Saussay nel suo Martirologio Gallicano.
(Autore: Jean Marilier – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Ponzio di Polignac, pregate per noi.

*Santi Quarantadue Martiri di Siria - Martiri di Amorio (6 marzo)
Martirologio Romano: In Siria, passione di quarantadue Santi martiri, che, arrestati ad Amorio in Frigia e condotti al fiume Eufrate, ottennero con un insigne prova la palma del martirio.
La storia di Sant’ Ezio è inserita nel martirio dei 42 martiri di Amorio nella Frigia. Al tempo dell’imperatore d’Oriente Teofilo l’Iconoclasta (829-842) le scorrerie degli arabi e le battaglie che si effettuavano per arginarne l’invasione in Asia Minore, erano i fatti predominanti della vita dell’Impero.
Ma il 24 settembre dell’838 il mondo cristiano subì l’umiliazione di vedere espugnata dai Saraceni la città di  Amorio, che in quell’epoca godeva di particolare splendore, essendo la patria di Michele II imperatore, padre di Teofilo.
La caduta fu imputata al tradimento del cristiano apostata Baditze, i saraceni manifestarono tutta la loro ferocia, una moltitudine di soldati e civili fu uccisa senza risparmiare donne e bambini, gran parte della popolazione fu deportata.
Furono risparmiati e tradotti in Mesopotamia 42 fra capi militari e alti funzionari della città, sono conosciuti alcuni nomi: Teodoro Cratere, Costantino, Callisto funzionari, Teofilo e Bassoe patrizi, Ezio e Melisseno patrizi e generali.
Essi portati prigionieri in Siria, furono custoditi in prigioni oscure e luride a solo pane ed acqua. Venivano sollecitati continuamente ad apostatare a favore della religione di Maometto e messi a confronto con sapienti musulmani, ma questi tentativi furono vani.
La penosa prigionia durò sette anni , finché nel marzo 845 dopo l’ultimo invito risultato negativo furono portati sulle rive dell’Eufrate e lì decapitati da carnefici etiopi.
Nel racconto dello storico bizantino Simora il Logoteta si racconta che fu ucciso anche il traditore Baditze, i loro corpi furono gettati nel fiume, ma i coccodrilli divorarono solo il corpo dell’apostata, mentre gli altri corpi con la testa riunita emersero dalle acque senza essere divorati, i cristiani del luogo li raccolsero e con amore e venerazione gli diedero sepoltura.
Nella vita dell’imperatore d’Oriente Basilio IV il Macedone (867-886) si afferma che nel palazzo reale fu costruito un oratorio in loro onore.
Nei menei greci, la memoria dei 42 martiri di Amorio è posta al 6 marzo, giorno della loro morte, nello stesso giorno sono ricordati anche nel Martirologio Romano e in quello siriaco di Rabban Sliba.  
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Quarantadue Martiri di Siria Martiri di Amorio, pregate per noi.

*Quiriaco (Ciriaco) di Treviri - Sacerdote (6 marzo)

Martirologio Romano: A Treviri nella Gallia belgica, ora in Germania, San Quiriaco, sacerdote. (Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Quiriaco (Ciriaco) di Treviri, pregate per noi.

*Beata Rosa da Viterbo - Vergine (6 marzo)
Viterbo, 1233/34 - Viterbo, 6 marzo 1251/52
Nata da famiglia benestante, a 17 anni entrò nell’ordine delle terziarie dopo aver avuto una visione.
In questo periodo fece diversi pellegrinaggi e soprattutto una dura penitenza. Mentre si faceva intensa la guerra tra Guelfi e Ghibellini insieme alla famiglia fu esiliata: tornò in patria dopo la morte di Federico II, ma la sua vita fu assai breve.
Sulla sua morte non si sa praticamente nulla solo che alcuni anni più tardi il suo corpo è stato ritrovato intatto.
Patronato: Viterbo
Etimologia: Rosa = dal nome del fiore
Emblema: Giglio
Martirologio Romano: A Viterbo, beata Rosa, vergine, del Terz’Ordine di San Francesco, che fu assidua nelle opere di carità e a soli diciotto anni concluse anzitempo la sua breve esistenza.
Nel 1252 papa Innocenzo IV pensa di farla santa, e ordina un processo canonico, che forse non comincia mai.
La  sua fama di santità cresce ugualmente, e nel 1457 Callisto III ordina un nuovo processo, regolarmente svolto: ma nel frattempo muore, e Rosa non verrà mai canonizzata col solito rito
solenne.
Ma il suo nome è già elencato tra i santi nell’edizione 1583 del Martirologio romano. Via via si dedicano a lei chiese, cappelle e scuole in tutta Italia, e anche in America Latina.
Vita breve, la sua.
Nasce dai coniugi Giovanni e Caterina, forse agricoltori nella contrada di Santa Maria in Poggio.
Sui 16-17 anni, gravemente malata, ottiene di entrare subito fra le terziarie di San Francesco, che ne seguono la regola vivendo in famiglia.  
Guarita, si mette a percorrere Viterbo portando una piccola croce o un’immagine sacra: prega ad alta voce ed esorta tutti all’amore per Gesù e Maria, alla fedeltà verso la Chiesa.
Nessuno le ha dato questo incarico. Viterbo intanto è coinvolta in una crisi fra la Santa Sede e Federico II imperatore. Occupata da quest’ultimo nel 1240, nel 1247 si è “data” accettandolo come sovrano.
Rosa inizia la campagna per rafforzare la fede cattolica, contro l’opera di vivaci gruppi del dissenso religioso, nella città dove comandano i ghibellini, ligi all’imperatore e nemici del papa. Un’iniziativa spirituale, ma collegata  alla situazione politica. Per questo, il podestà manda Rosa e famiglia in domicilio coatto a Soriano del Cimino.
Un breve esilio, perché nel 1250 muore Federico II e Viterbo passa nuovamente alla Chiesa.
Ma non sentirà più la voce di Rosa nelle strade. La giovane muore il 6 giugno probabilmente del 1251 (altri pongono gli estremi della sua vita tra il 1234 e il 1252).  
Viene sepolta senza cassa, nella nuda terra, presso la chiesa di Santa Maria in Poggio. Nel novembre 1252 Papa Innocenzo IV promuove il primo processo canonico (quello mai visto) e fa inumare la salma dentro la chiesa. Nel 1257 papa Alessandro IV ne ordina la traslazione nel monastero delle Clarisse.
E forse vi assiste di persona, perché trasferitosi a Viterbo dall’insicura Roma (a Viterbo risiederanno i suoi successori fino al 1281).
La morte di Rosa si commemora il 6 marzo. Ma le feste più note in suo onore sono quelle di settembre, che ricordano la traslazione del corpo nell’attuale santuario a lei dedicato.
Notissimo è il trasporto della “macchina” per le vie cittadine: è una sorta di torre in legno e tela, rinnovata ogni  anno, col simulacro della santa, portata a spalle da 62 uomini.
Si ricorda nel 1998 anche l’iniziativa del conte Mario Fani, che 130 anni or sono, col circolo Santa Rosa, a Viterbo anticipava la Società della Gioventù Cattolica, promossa poi dai cattolici bolognesi con Giovanni Acquaderni.
Nel 1922 Benedetto XV ha proclamato Rosa patrona della Gioventù Femminile di Azione Cattolica. A Viterbo, di cui è patrona della città e compatrona della diocesi, è ricordata il 4 settembre, giorno della traslazione.  
(Autore: Domenico Agasso - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Rosa da Viterbo, pregate per noi.

*San Vittore e Compagni Martiri di Nicomedia (6 marzo)

Etimologia: Vittore = vincitore, dal latino
Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Nicomedia in Bitinia, nell’odierna Turchia, San Vittorino, martire.
San Vittore è citato al 6 marzo dal Martirologio Romano, insieme ad un gruppo di altri martiri, essi sono Vittorino,  Claudiano e Bassa sua moglie.
Con il nome di Vittore ci sono ben 51 Santi, in buona parte martiri da soli o in gruppetti con altri compagni.
Quando parliamo di martiri dei primi secoli vi sono quasi sempre poche notizie,  incerte, confuse, a volte contraddittorie, come nel caso di questo gruppo a cui appartiene il San Vittore di cui
parliamo.
Il gruppo così composto proviene da Martirologi medioevali, mentre il Martirologio Geronimiano dice che Vittore e Vittorino sono martiri a Nicomedia, mentre Claudiano e Bassa sono martiri di Apamea in Bitinia.
Il Martirologio Siriaco al 6 marzo cita solo San Vittorino.
Mentre il Martirologio Geronimiano per la seconda volta cita sempre al 6 marzo un altro gruppo Vittore, Vittorino, Claudiano, Diodoro, Papia, Niceforo e Serapione martiri in Egitto.
Inoltre per la terza volta cita tre martiri di Attala in Panfilia, Claudiano, Diodoro, Papia, sempre al 6 marzo.
Potremo darci una spiegazione, che al quel tempo vi era una grande omonimia e nel contempo un gran numero di martiri, cosicché nello stesso giorno morivano cristiani dallo stesso nome, ma in questo caso in località e regioni diverse.
Altro non si può dire, che furono afflitti da svariati tormenti e reclusi in carcere nell’arco di tre anni.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Vittore e Compagni Martiri di Nicomedia, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (6 marzo)
*San
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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